La stagione dell’accumulo, ma non solo elettrico

La stagione dell’accumulo, ma non solo elettrico

Immagazzinare l’energia termica in eccesso prodotta in estate, ad esempio da grandi impianti solari termici, è una soluzione praticata nel centro e nord Europa. Esempi di recenti applicazioni tecnologiche in Danimarca mostrano come ciò sia fattibile e, in molti casi, economicamente conveniente. Il caso dell’accumulo stagionale di Braedstrup.
Riccardo Battisti
24 settembre 2014

Una delle sfide più avvincenti per la diffusione su larga scala delle fonti rinnovabili nel sistema energetico mondiale è quella dell’immagazzinamento del surplus di produzione da utilizzare nei momenti di maggiore domanda da parte delle utenze. Se la questione è ormai diventata pane quotidiano per la discussione, sia a livello tecnico sia sul piano più divulgativo, in merito alle problematiche della rete elettrica (l’esempio lampante è la soluzione fotovoltaico + batterie), meno conosciuto è invece l’analogo discorsosull’energia termica.

Immagazzinare il calore per poi utilizzarlo quando necessario, in realtà, è cosa che accade tutti i giorni, ad esempio negli impianti solari termici a uso domestico o di altro tipo, sempre dotati di un serbatoio di accumulo. Più interessante e innovativa, però, è l’idea di estendere il tempo di accumulo, arrivando addirittura a un bilancio stagionale. Il calore aggiuntivo prodotto nella stagione calda viene messo da parte per essere poi sfruttato quando il fabbisogno termico si fa più pressante e, cioè, nei periodi di utilizzo del riscaldamento.

In questo articolo e nei successivi verranno analizzati due esempi tecnologicirealizzati in Danimarca a servizio di impianti di teleriscaldamento e in combinazione con impianti solari termici di grande taglia. I due sistemi utilizzano differenti tecnologie per accumulare l’energia termica in eccesso.

Sonde nel terreno

Sebbene si tratti di un impianto pilota, vale a dire uno dei primi di questo tipo e di questa dimensione, l’accumulo stagionale costruito nella cittadina danese di Braedstrup è perfettamente funzionante e consente di incrementare la frazione di copertura da rinnovabili rispetto al fabbisogno complessivo della rete locale di teleriscaldamento.

L’impianto di produzione di questa rete comprende molti elementi differenti: 18.600 m2di collettori solari, una pompa di calore elettrica da 1,2 MW termici, un boiler elettrico da 10 MW e una unità cogenerativa alimentata a gas naturale. Accanto a questo complesso sistema di generazione, poi, sono stati realizzati gli accumuli termici. Per la gestione dei flussi termici su base giornaliera, si impiegano due serbatoi in acciaio, del volume rispettivamente di 2.000 m3 e 5.500 m3. Il vero principe della rete, però, èl’accumulo stagionale: una porzione di terreno che copre circa 19.000 m3 di volume.

Si tratta di un accumulo del tipo BTES, dalla dicitura inglese “Borehole Thermal Energy Storage”. Il principio di funzionamento è molto semplice: il fluido caldo in estate scorre in alcuni tubi disposti in pozzi trivellati nel terreno e riscalda il terreno stesso. Durante l’inverno, poi, l’energia termica viene recuperata inviando fluido freddo negli stessi tubi. Il fatto che il terreno non abbia presenza di acqua di falda in movimento al suo interno assicura che le perdite di calore, anche in un periodo così lungo, siano sempre molto contenute. Il volume complessivo di terreno interessato equivale, come capacità termica, a un serbatoio con 5.000 m3 di acqua.

Carico e scarico

Nel caso di Braedstrup, sono stati trivellati 48 pozzi (vedi schema a destra; fonte: PlanEnergi), disposti a una distanza reciproca di 3 metri. La profondità di scavo è stata di 45 m, per assicurare che il fondo dei pozzi avesse una sufficiente separazione dall’acqua di falda, presente nella zona a circa 50 m di profondità. Ogni foro è dotato di un doppio tubo a U e 6 fori sono connessi in serie idraulica dal centro della zona di accumulo verso la periferia (vedi foto a sinistra; fonte: Braedstrup Fjernvarme). Questo tipo di accumuli, quindi, presenta una stratificazione orizzontale: più caldo al centro e più freddo sui lati.

Nella fase di carico, perciò, l’acqua calda scorre dal centro verso la periferia e viceversa avviene nella situazione invernale nella quale l’accumulo si scarica. Le perdite di pressione nell’accumulo sono di circa 2 bar con un flusso di portata pari a 25 m3/h.

Conchiglie al caldo

Al fine di ridurre le perdite di calore verso l’esterno, la parte superiore dell’accumulo è coperta con uno strato di conchiglie di frutti di mare, che garantiscono un buon isolamento termico, pari a circa 0,11 W/m K, e la resistenza all’elevata umidità e a temperature anche di 80 °C. A  questi vantaggi si accompagnano poi l’elevata capacità di carico meccanico e, ultimo ma certamente non meno importante, il basso costo della materia prima.

Per evitare fenomeni di convezione nello strato isolante, con le conseguenti perdite termiche, sono stati realizzati due strati di gusci, ciascuno dello spessore di 250 mm, separati da un foglio semi-permeabile. In cima allo strato isolante, inoltre, si trova un altro spessore costituito da più materiali differenti (membrana semi-permeabile, ghiaia, ecc.) con la funzione di isolare l’accumulo dall’acqua piovana e, allo stesso tempo, permettere il passaggio del vapore dall’accumulo verso l’esterno attraverso la copertura.

Il tutto, infine, è coperto da un ulteriore strato di 500 mm di terra ed erba che si fonde con l’ambiente circostante ripristinando le condizioni iniziali anche dal punto di vista estetico.

Una caratteristica molto importante per un ottimale sfruttamento delle superfici è che la copertura è progettata per resistere ai collettori solari che, quindi, possono essere posizionati anche nella zona dell’accumulo.

In un prossimo articolo si vedranno i dettagli dell’implementazione dell’accumulo e del suo esercizio, analizzando i costi di realizzazione e i primi risultati operativi.

Da qualenergia.it