I corsi di formazione per chi installa e fa manutenzione di piccoli impianti a rinnovabili, obbligatori da agosto, vengono spesso visti come un inutile balzello, anche perché, per come sono stati stabiliti i criteri applicativi, si prestano ad inefficienze e scappatoie. Si rischia così di sprecare un’altra occasione per fare le cose seriamente.
Il quinto conto energia sta per finire, e con esso gli incentivi al fotovoltaico, ma la “persecuzione” degli operatori continua, questa volta con una norma che migliaia di lavoratori nel settore delle rinnovabili, temono renderà loro la vita difficile. A fine gennaio la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha infatti stabilito i criteri per i corsi di formazione specifici per chi installa e fa manutenzione di piccoli impianti a rinnovabili: da caldaie, caminetti e stufe a biomassa, fino ai sistemi solari fotovoltaici e termici sugli edifici, passando per sonde geotermiche e pompe di calore. Questo perché, dal primo agosto 2013, come previsto dalla direttiva europea 28 del 2009, a installare questi impianti potrà essere solo personale che abbia frequentato questi corsi, a cui si aggiungeranno poi, ogni tre anni, corsi di aggiornamento.
I corsi di base non saranno né sbrigativi né economici: la durata minima è di 80 ore, suddivise in 20 ore di modulo comune + 60 ore di moduli specifici per ogni settore energetico, con almeno 20 di pratica e in rete vengono offerti a circa 1100 euro a persona. I corsi di aggiornamento, invece, dovranno durare un minimo di 16 ore, ma potranno essere anche seguiti on line.
Questo ha subito messo in allarme le decine di migliaia di artigiani che lavorano nel settore delle rinnovabili, che temono, fra qualche mese di non poter più lavorare, o, almeno, di non poter fare più impianti che possano ricevere incentivi o, in alternativa, di dover spendere inutilmente soldi e perdere tempo.
“Il problema – dice Massimo Venturelli, presidente della Associazione Tecnici Energie Rinnovabili – è che questa norma minaccia di essere solo l’ennesimo balzello e ostacolo burocratico alla nostra attività, non una vera occasione di crescita professionale. Noi non abbiamo nulla contro la formazione, anzi, in un campo in così rapida trasformazione tecnica e legislativa, la riteniamo indispensabile. Ma le precedenti esperienze di tanti nostri soci, mostrano come a fare l’insegnante in questi corsi sia spesso personale che ne sa meno dell’artigiano stesso. E il fatto che l’organizzazione sia affidata a ogni singola regione, produrrà il risultato che avremo normative disparate e livelli di qualità diversissimi fra una parte e l’altra di Italia. Una cosa ingiusta e intollerabile”.
E non mancano i paradossi: “Nel caso del fotovoltaico, poi, il quinto conto energia minaccia la non concessione di incentivi, se l’installatore non avrà il certificato di abilitazione professionale. Ma ad agosto gli incentivi al fotovoltaico saranno probabilmente terminati, o quasi. La cosa suona come una beffa… Come è bizzarra l’esclusione di chi si occupa di eolico: chi monterà un impianto solare da pochi chilowatt, in teoria, dovrà essere più formato e aggiornato di chi costruirà turbine eoliche da qualche megawatt”.
In realtà l’allarme che ha percorso il settore, sembra prematuro. Ci spiega il perché Anna Moreno responsabile dell’unità formazione e informazione dell’Enea. “Queste norme derivano da una direttiva europea molto chiara: tutti quelli che lavorano in Europa alla installazione delle rinnovabili e nell’efficienza energetica, devono avere una preparazione di base specifica comune. La ragione è fondata, si tratta di un settore molto complesso e in continua evoluzione, dove per lavorare con la massima efficienza e sicurezza, assicurare completa soddisfazione ai clienti ed evitare incidenti e danni, bisogna essere preparati e continuamente aggiornati. Ma il modo in cui la normativa è stata ripresa in Italia, con il decreto legislativo 28 del 2011, che si è rifatto, per stabilire chi dovesse frequentare questi corsi, al decreto ministeriale 37 del 2008, ha annacquato la norma e l’ha resa più confusa“.
In effetti nel decreto del 2008 si trovano molte scappatoie. Innanzi tutto a fare i corsi di base non devono più essere tutti i lavoratori che lavorano sugli impianti, ma solo “l’imprenditore individuale o il legale rappresentante ovvero il responsabile tecnico da essi preposto con atto formale”: insomma anche solo una persona per ditta, sia presente o meno sul cantiere. E neanche questa deve fare il corso, se autocertifica di essere laureata in materie tecniche, diplomata in materie tecniche con due anni di esperienza lavorativa o, indipendentemente dal titolo di studio, di avere almeno quattro anni di esperienza presso una ditta specializzata. Con queste premesse, si sa che c’è già chi ha assunto “virtualmente”un ingegnere in ditta, solo per evitare di fare almeno il corso di base,visto che comunque tutti i responsabili tecnici dovranno fare quelli di aggiornamento a partire dal 2016.
“Non posso dare torto a chi diffida dei corsi di formazione obbligatori”, ammette Moreno “sappiamo che spesso questi non sono all’altezza: troppo teorici, tenuti da persone non molto preparate e spesso anche troppo brevi. Cercheremo di ovviare, in questo caso, dando supporto e consulenza alle regioni nella preparazione dei corsi e premendo perché, prima di farli partire, si istituiscano anche corsi per formare adeguatamente chi i corsi per gli operatori dovrà poi tenere. Ci siamo anche offerti di individuare nelle varie regioni sedi provviste di laboratori adatti, magari presso le stesse aziende, così che, oltre alla teoria, si possa anche fare l’indispensabile pratica a un livello adeguato. Ma, se abbiamo avuto molta disponibilità da parte dei privati, fra le regioni finora hanno risposto in pochi“.
Peccato, perché, fra inefficienze e furbizie all’italiana, si rischia di sprecare un’altra occasione per fare le cose seriamente, creando una massa di operatori qualificati e aggiornati, che potranno poi far valere il proprio titolo professionale su tutto il territorio europeo. Una crescita e una possibilità di internazionalizzazione, che potrebbe anche essere a costo zero per gli artigiani stessi.
L’esempio lo dà la stessa Enea, che con la Provincia di Roma, ha organizzato una “Scuola per le Energie Rinnovabili” dove si tengono corsi di 4 giorni che, a sentire chi li ha frequentati, sono effettivamente molto utili per migliorare le proprie competenze e trovare lavoro. “Abbiamo dimostratori di vari tipi di impianti a rinnovabili che, oltre a permettere di far pratica di installazione, possono anche simulare guasti, così che si possa anche dimostrare di essere in grado di ripararli. Il costo di questi corsi si aggira sui 300 euro al giorno, ma per i residenti della provincia di Roma sono gratis, grazie all’uso di fondi europei appositi. Un esempio che potrebbe e dovrebbe essere seguito in ogni regione italiana”, conclude Moreno.