Impianti fotovoltaici, fisco e rendite catastali: facciamo un po’ di chiarezza
Alcune aziende del fotovoltaico lamentano l’impatto economico che queste novità avranno sui loro bilanci, mentre sul fronte degli utenti qualcuno si preoccupa che, dopo la circolare, installare i pannelli sul tetto possa far aumentare la rendita catastale dell’edificio, con relativo aggravio di Imu, Tasi e altre imposte che hanno come base quel valore. Timori fondati? Lo abbiamo chiesto all’avvocato fiscalista Antonietta Alfano dello studio legale Macchi di Cellere Gangemi.
Avvocato, quali sono in sintesi i contenuti della circolare dell’Agenzia delle Entrate emanata il 18 dicembre?
La circolare chiarisce la qualificazione da dare agli impianti fotovoltaici ai fini catastali e della fiscalità generale. In passato si era creata una discrasia: l’Agenzia del Territorio, nel 2013 incorporata nell’Agenzia Entrate, ha sempre sostenuto che gli impianti fotovoltaici, come pure quelli eolici e le altre centrali elettriche, dovevano essere considerati beni immobili, perché non possono essere spostati senza oneri gravosi. Ai fini del catasto e di tutte le imposte determinate dal valore catastale, vedi Imu e sostituti, gli impianti FV dunque sono sempre stati considerati immobili. L’Agenzia delle Entrate, invece, fino alla circolare in questione, sosteneva che gli stessi impianti, che ai fini catastali come detto sono immobili, ai fini della fiscalità dovessero essere considerati beni mobili. Adesso l’Agenzia elimina questa discrasia, chiarendo che gli impianti FV, salvo alcune eccezioni, sono sempre considerati immobili, sia ai fini catastali che a quelli fiscali.
Che conseguenze pratiche ha questo per chi ha un impianto fotovoltaico? Ci può fare un esempio?
Un’impresa proprietaria di un impianto FV fino a prima della circolare ammortizzava, ossia deduceva dal suo reddito d’impresa, una quota pari al 9% dei costi dell’impianto: l’aliquota d’ammortamento prevista per i beni mobili. Ora, dopo il chiarimento, si deve ammortizzare l’impianto con l’aliquota prevista per i beni immobili, cioè il 4%. Rispetto a prima deduco meno ma ho un periodo di ammortamento più lungo, perché si passa da 11 a 25 anni. Per fortuna l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che i contribuenti che fino a questo momento hanno dedotto la percentuale più alta non saranno perseguiti, dato che hanno agito seguendo le istruzioni della stessa Agenzia.
Dobbiamo considerarla una novità negativa per le aziende che hanno impianti fotovoltaici?
Non si può dare una risposta univoca perché dipende dal bilancio e dalla situazione fiscale della singola azienda. È una questione di tempistica: il costo dedotto è lo stesso ma cambiano i tempi. Con il vecchio regime potevo abbattere il mio carico fiscale in maniera più consistente, ma per un minor numero di anni.
La circolare definisce anche il modo in cui si calcola il valore catastale dell’impianto, specificando che deve essere calcolato considerando anche tutte le componenti del sistema, comprese anche quelle contenute all’interno dei locali tecnici come inverter, quadri elettrici, sistemi di allarme, eccetera. Secondo alcuni operatori questo fa addirittura raddoppiare la rendita catastale rispetto al metodo di calcolo precedente, con un pesante impatto sui bilanci. È così?
In parte sì. Dato che si considerano tutte le apparecchiature, la rendita catastale sale di molto anche se non so quantificare se raddoppi o triplichi. Di conseguenza crescono anche le imposte connesse alla rendita catastale stessa. Dubito però che l’entità di questi aumenti possa rivelarsi critica nel bilancio di un’azienda se questo è sano e ben costruito.
La circolare ha suscitato anche il timore che ora diventino rilevanti ai fini catastali anche alcuni impianti fotovoltaici su tetto, se superiori ai 3 kW di potenza, con relativo impatto su Imu, Tasi e altre imposte. Possiamo fare un po’ di chiarezza su quando un impianto va accatastato e quando no?
Gli impianti di tipo industriale di grandi dimensioni, che hanno autonomia funzionale, vanno accatastati come unità immobiliari e in particolare come opifici, in categoria D1. Per gli impianti al servizio di edifici posti sul tetto o su aree di pertinenza degli edifici stessi il discorso è più complesso: non devono essere accatastati autonomamente, ma in alcuni casi possono modificare la rendita catastale degli edifici presso cui sono installati. Questo succede quando l’installazione dell’impianto farebbe aumentare il valore della rendita catastale dell’immobile di una percentuale uguale o superiore al 15%. Per questa tipologia di impianti l’Imu segue quella dell’edificio su cui sono installati.
Come fa l’utente a sapere se il suo impianto su tetto va dichiarato per modificare al rialzo la rendita catastale dell’edificio? Basta calcolare se il costo dell’impianto supera il 15% del valore catastale dell’edificio?
La variazione del valore si calcola in base ad una prassi estimativa adottata dall’amministrazione catastale su istruzioni diramate dall’Agenzia del Territorio nel 2005. In linea generale comunque possiamo dire che un impianto installato su un edificio che ospita un attività produttiva o su un’abitazione molto difficilmente supera il 15% del valore catastale dell’immobile: su questi impianti dunque non si paga l’Imu, non fanno aumentare la rendita dell’immobile e non si devono nemmeno dichiarare.
da qualenergia