L’energia cambia. Le priorità di una nuova politica industriale italiana
L’ultimo libro di Rifkin, lanciato dall’Espresso con l’improbabile titolo di copertina “Così torneremo ricchi”, e il rapporto della banca svizzera UBS di cui abbiamo già parlato, si affiancano alle analisi di Citigroup, Deutsche Bank, Ernst&Young, PWC, ecc., sottolineando le radicali evoluzioni che si profilano sui fronti dell’energia e della mobilità. In particolare, la combinazione “fotovoltaico + accumulo + auto elettrica” è destinata ad aprire prospettive straordinariamente interessanti.
Secondo lo studio UBS, questa tripletta potrebbe essere conveniente in Italia, anche senza incentivi, fra soli tre anni. Forse si tratta di una valutazione ottimistica, ma la tendenza sembra inarrestabile ed è destinata a modificare profondamente il mondo della produzione elettrica e ad incidere anche nel comparto dell’auto.
Sono analisi che noi facciamo da tempo, ma oggi la condivisione da parte di diversi soggetti del mondo della finanza e della consulenza internazionale conferisce ulteriore credibilità a visioni “eretiche”, spingendo giornali come la Repubblica a dedicare pagine intere alle seducenti trasformazioni che ci aspettano.
E’ tempo di riarticolare la nostra strategia. Alla costante pressione sulle scelte energetiche del governo va affiancata la precisa richiesta di un nuovo orientamento della politica industriale. Nell’attuale fase di crisi vanno identificati con chiarezza i futuri settori trainanti dell’economia, per capire come il nostro paese intenda cogliere le nuove opportunità.
Certamente il fotovoltaico, l’accumulo e l’auto elettrica vedranno una rapida crescita in tutto il mondo. Che ruolo vuole giocare l’Italia nello sviluppo di queste tecnologie? Al momento la situazione è sconfortante. Con difficoltà resiste qualche coraggiosa impresa nel settore solare ed in quello della mobilità elettrica e abbiamo dei validi presidi sul versante delle batterie. Ma non si intravvede un ruolo di coordinamento e di stimolo,non esistono obiettivi e strategie di un certo respiro. Dobbiamo considerarci fuori dai giochi?
Per affrontare sfide di queste dimensioni occorre ragionare in chiave internazionale, se possibile valorizzando la dimensione europea. Consideriamo quindi tutte le possibili sinergie ed alleanze.
La produzione di moduli fotovoltaici è in questo momento monopolizzata dall’Asia (87% nel 2013). Parliamo di una tecnologia strategica, che diventerà centrale nei prossimi 10-20 anni nella generazione elettrica mondiale. Di fronte a questa prospettiva gli Usa hanno deciso di rilanciare, progettando mega-fabbriche di capacità dell’ordine di 1.000 MW/anno. Francia e Germania stanno valutando la possibilità di riproporre l’esperienza aerospaziale dell’Airbus con un grande progetto innovativo nel settore del solare.
E l’Italia? Perché non approfittare dell’attuale presidenza europea per verificare la possibilità di uno sforzo industriale continentale sul fotovoltaico coinvolgendo anche la ricerca e le imprese italiane?
Per quanto riguarda le auto elettriche, stanno emergendo prodotti di alta qualità e a prezzi rapidamente decrescenti. Le vendite in Europa raddoppiano ogni anno e sono arrivate a quota 50.000 nel 2013. È possibile determinare con una certa affidabilità la crescita nel medio termine. Infatti, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni specifiche di CO2 alla fine del decennio, le case costruttrici ottengono speciali “supercrediti” legati alla vendita di auto elettriche. Sulla spinta degli obiettivi “climatici” è stato stimato che nel 2025 verranno vendute 1,9 milioni di auto elettriche in Europa e 5,1 milioni nel mondo.
La corsa è partita. E noi? La Fiat, si sa, non ha mai voluto impegnarsi in questo settore. Ma esistono alternative. Abbiamo lo stabilimento di Termini Imerese chiuso da anni. Perché non proporre il suo utilizzo all’americana Tesla, che puntando solamente sulla mobilità elettrica ha raggiunto in pochi anni un valore di mercato di 33 miliardi $, pari alla metà delle quotazioni della Ford? Con buona pace di Marchionne che dichiara di perdere 10.000 $ per ogni 500 elettrica venduta negli Usa.
Per finire, parliamo dei sistemi di accumulo. Questa tecnologia sta ricevendo sollecitazioni fortissime sia dal settore automobilistico che da quello delle rinnovabili. Il mercato mondiale delle batterie per queste applicazioni dovrebbe passare da 200 milioni $ nel 2012 a 19 miliardi $ nel 2017. Molti paesi si stanno attrezzando per questa sfida. Tra il 2009 e il 2012 gli Usa hanno speso 1,2 miliardi $ e nuovi ambiziosi programmi sono in corso. La Germania ha stanziato 200 milioni € per la ricerca attraverso l“Energy Storage Funding Initiative”; anche la Svizzera, in vista dell’uscita dal nucleare, ha destinato 31 milioni € alla ricerca sugli accumuli.
Si tratta quindi di un mondo in pieno fermento, dopo un secolo di moderato interesse. Sono decine le soluzioni tecnologiche che si stanno sperimentando per migliorare le prestazioni e ridurre i prezzi. In Italia abbiamo valide realtà produttive, centri di ricerca, progetti avviati dalle società impegnate nella trasmissione e distribuzione. Per reggere la sfida, anche in questo campo occorre però definire una strategia e stringere alleanze internazionali.
Dopo le crisi petrolifere degli anni Settanta, fu lanciato il Progetto Finalizzato Energetica, proprio per raccordare le ricerche di enti pubblici e di imprese. Oggi le criticità sono anche maggiori: oltre ai problemi di sicurezza (Ucraina, Isis, Libia, ecc.) abbiamo la sfida del clima che incombe.
Per un paese in difficoltà come il nostro sarebbe logico organizzarsi e definire priorità. Per esempio, puntando sul filone aurifero del terzetto tecnologico “solare+accumulo+auto elettrica” in grado, se ben gestito, di garantire occupazione e fatturati. E ci sono altri settori con un futuro promettente. Basti pensare alla rivoluzione dei Led e a quella delle smart grids, dei biomateriali, degli edifici a consumo quasi zero …
Accanto alla “spending review” sarebbe allora saggio far partire una “innovation review”, che consenta di identificare pochi selezionati ambiti tecnologici ai quali l’Italia possa agganciare la ripresa. Ci sono tra l’altro da destinare per l’energia oltre 3 miliardi € della programmazione europea 2014-20 e sarebbe bene non perderli.
Come Coordinamento FREE lanceremo al governo (oltre che a Confindustria e al Sindacato) questa proposta. Chiederemo una politica industriale coraggiosa, che individui i comparti più promettenti, offrendo opportunità alle imprese esistenti e facilitando la nascita di start up.
Nello Sblocca-Italia si parla di autostrade e trivellazioni petrolifere. Non ci siamo. È vero che il provvedimento riesuma progetti del passato. Ma mai come in questo momento, per dare speranze al paese occorre scordarsi scelte perdenti e immaginare un futuro vincente.